I principali approcci nel trattamento delle neoplasie sono rappresentati dalla chirurgia, dalla radioterapia, dalla chemioterapia, dalla terapia ormonale (in alcune patologie come il tumore della mammella e della prostata), dalle terapie mirate e dall’immuno-oncologia. Le varie strategie possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione. Nel corso degli anni, la ricerca ha portato a terapie sempre più efficaci, in grado di ridurre la mortalità, con effetti collaterali minori.
Chirurgia
La chirurgia è, salvo alcune eccezioni, il primo passo nel trattamento dei tumori. In particolare, il ricorso al bisturi è indicato per rimuovere tumori localizzati e in fase non troppo avanzata; rimuovere metastasi isolate; ridurre i sintomi provocati dalla compressione degli organi circostanti e migliorare la qualità di vita del paziente, anche nei casi in cui non è possibile l’eradicazione completa del tumore. Quando la diagnosi è precoce e la massa ha dimensioni ridotte, la chirurgia può costituire l’unica terapia necessaria. In altri casi, va preceduta o seguita da chemioterapia o da altre tipologie di cura.
L’asportazione totale dell’organo è stata sostituita progressivamente da interventi individualizzati dove la resezione completa, ma il più possibile conservativa, si inserisce in un programma multidisciplinare.
Chemioterapia
Buona parte dei progressi compiuti dall’oncologia mondiale negli ultimi decenni sono stati ottenuti proprio grazie alla chemioterapia, la cura farmacologica del cancro, che rappresenta ancora oggi una terapia efficace nel trattamento di alcuni dei tumori più frequenti come quelli del seno, del colon-retto, del polmone e della prostata, anche se ovviamente in molte situazioni cliniche si è ancora alla ricerca di trattamenti che possano migliorare l’efficacia della chemioterapia.
La parola chemioterapia letteralmente indica qualunque trattamento terapeutico a base di sostanze chimiche. Più specificamente si riferisce ai farmaci capaci di uccidere gli agenti responsabili delle malattie e comprende quindi anche gli antivirali e gli antibiotici che eliminano i batteri (chemioterapia antimicrobica). Nel linguaggio comune il termine è utilizzato soprattutto in relazione alle più comuni cure farmacologiche contro il cancro (chemioterapia antineoplastica). Il trattamento può prevedere la somministrazione di uno o più farmaci scelti tra una gamma di oltre 50 molecole disponibili e largamente usate nella maggior parte dei Paesi del mondo. La decisione su quale sia il trattamento più indicato dipende da molti fattori, in primo luogo dal tipo, dallo stadio e dalle caratteristiche biologiche (valutabili con l’esame istologico) del tumore, come anche dalle caratteristiche cliniche (età, sesso, trattamenti precedenti, condizioni generali) del paziente.
Somministrati uno alla volta oppure in combinazione, i farmaci chemioterapici intervengono nel momento in cui le cellule neoplastiche si suddividono, impedendone o ritardandone la moltiplicazione (proprio per questo sono anche chiamati “antiproliferativi”). Il risultato clinico auspicato con la loro somministrazione è quello di bloccare o rallentare la crescita del tumore fino a ridurne il volume.
In alcuni tipi di cancro, la chemioterapia può distruggere tutte le cellule tumorali presenti nel corpo, raggiungendo in molti casi l’obiettivo della guarigione. In altri può ridurre il volume tumorale, con due diverse finalità: utilizzata prima di un intervento chirurgico (il cosiddetto trattamento “neoadiuvante”) può consentire di asportare tutto il tumore con un approccio meno demolitivo, risparmiando quanto più possibile il tessuto sano (ad esempio asportando solo una parte della mammella invece che tutto l’organo); attuata dopo la chirurgia o la radioterapia (il cosiddetto trattamento “adiuvante”) può distruggere eventuali cellule tumorali residue, raggruppate in masse microscopiche o comunque troppo piccole per essere rilevate dagli strumenti diagnostici, riducendo così le possibilità di recidiva e aumentando le possibilità di guarigione. Nel caso in cui né l’intervento né la guarigione siano possibili, la somministrazione della chemioterapia può servire a rallentare la progressione della malattia, con l’obiettivo di prolungare la sopravvivenza e assicurare al paziente una buona qualità della vita grazie al controllo dei sintomi legati al tumore.
Radioterapia
L’uso di radiazioni ad alta energia permette di colpire e distruggere le cellule tumorali, con l’ulteriore obiettivo di danneggiare il meno possibile quelle sane. La radioterapia può essere utilizzata da sola oppure prima o dopo l’intervento chirurgico. In alcuni casi, il trattamento radioterapico può essere associato alla chemioterapia, allo scopo di potenziare al massimo l’effetto anti-tumorale: alcuni pazienti riceveranno un trattamento cosiddetto “concomitante” (radioterapia e chemioterapia sono somministrate nello stesso periodo di tempo), altri pazienti invece un trattamento “sequenziale” (radioterapia e chemioterapia sono somministrate in sequenza, prima l’una e poi l’altra).
Terapia ormonale
Si applica in alcuni tumori ormonosensibili od ormonodipendenti (come il tumore della mammella e della prostata). I trattamenti ormonali agiscono bloccando la produzione degli ormoni responsabili dell’evoluzione della malattia a vari livelli, bloccando l’attività ipofisaria o i recettori cui si legano gli ormoni circolanti per determinare l’effetto biologico sfavorevole. Il trattamento ormonale in queste neoplasie è molto utile sia nella fase adiuvante, cioè per diminuire il rischio della ricomparsa della malattia dopo un intervento chirurgico, sia nella fase avanzata o metastatica della malattia, per indurre risposte obiettive ed un controllo di malattia che può essere anche molto duraturo.
Terapie mirate
Sono dette anche terapie a bersaglio molecolare (target therapy) e la loro azione è specifica per il bersaglio molecolare (recettore, fattore di crescita, enzima) contro cui sono dirette. Questi bersagli, presenti principalmente nelle cellule tumorali, sono responsabili della crescita e della diffusione incontrollata delle cellule tumorali, della loro resistenza alle terapie tradizionali e, in alcuni casi, della produzione di nuovi vasi sanguigni. La funzione delle terapie mirate è di disturbare la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali, bloccando questi processi o rallentandoli. A oggi, queste terapie non sono appropriate per tutti i malati di tumore, ma sono efficaci solo per alcuni sottogruppi di tumori che presentano specifiche alterazioni molecolari. Questi diversi segni distintivi si possono immaginare come le impronte digitali delle cellule tumorali. Queste alterazioni, chiamate anche biomarcatori (marcatori biologici), permettono di individuare i pazienti che possono rispondere alle terapie mirate, disegnate per colpire in maniera precisa e specifica il bersaglio a cui sono destinate.
Il carcinoma del polmone non a piccole cellule (NSCLC) con mutazioni dell’EGFR o con traslocazione di ALK o di ROS1, i tumori della mammella o dello stomaco con amplificazione di HER2, il melanoma cutaneo con mutazioni di BRAF, il carcinoma del colon-retto privo di mutazioni di KRAS o di NRAS o di BRAF rappresentano alcuni esempi di sottogruppi molecolari di neoplasie, per i quali sono già oggi disponibili specifici approcci terapeutici in grado di modificare in maniera significativa il decorso della malattia in fase avanzata o metastatica. Anche se il numero di marcatori e relativi farmaci approvati finora è relativamente limitato, è possibile prevedere un notevole incremento nei prossimi anni delle opzioni terapeutiche, perché numerosi farmaci in grado di agire su specifiche alterazioni genetico-molecolari sono in corso di sperimentazione. Sono disponibili terapie mirate anche nei tumori del rene, fegato, ovaio. Va detto che in alcuni casi (ad esempio nel tumore del rene o del fegato) le terapie mirate si usano senza selezionare i pazienti sulla base della presenza di specifici marcatori.
Immuno-oncologia
Quest’arma funziona stimolando le cellule del sistema immunitario a combattere il cancro e persegue una strategia opposta a quella delle terapie classiche: non colpisce direttamente le cellule tumorali, ma mira ad attivare i linfociti T del paziente (potenti globuli bianchi capaci di eliminare o neutralizzare le cellule infette o anormali), allo scopo di metterli in condizione di distruggere il tumore. Se un batterio, un virus o un antigene tumorale invadono l’organismo, il sistema immunitario si attiva per eliminare il corpo estraneo e, una volta esaurito il suo compito, si “spegne”. Nel cancro, le cellule maligne agiscono “arrestando” la risposta immunitaria e continuano a replicarsi. Con l’immuno-oncologia è possibile provare a bloccare uno dei meccanismi di disattivazione e mantenere sempre accesa la risposta difensiva, in modo tale da contrastare il tumore. Nei casi in cui è efficace, l’immuno-oncologia non solo rafforza la capacità del sistema immunitario di attaccare il tumore, ma inibisce la capacità delle cellule malate di sfuggire al controllo del sistema immunitario.
Il melanoma, un tumore della pelle, ha rappresentato il modello ideale per verificare l’efficacia dell’immuno-oncologia. Nel corso degli anni questo approccio ha dimostrato di essere efficace anche nel tumore del polmone, del rene, della vescica e del distretto testa collo. Nelle altre neoplasie l’impiego dell’immuno-oncologia rimane sperimentale, ma si stanno aprendo prospettive importanti anche in altri tumori, come quello del fegato, e in alcune patologie ematologiche come il mieloma multiplo e il linfoma di Hodgkin.